Troppo spesso nella gestione dei nostri emopensieri restiamo troppo concentrati su noi stessi o sugli altri, perdendo di vista le soluzioni ai problemi che sembrano investire la nostra vita.
Proprio questa settimana una persona a me cara mi raccontava che la sua relazione con il partner era diventata insostenibile, e che sentiva un senso di frustrazione perché qualunque cosa facesse sembrava dovuto, compreso nel pacchetto famiglia, coppia, figli.
Altri invece mi parlavano del loro lavoro, che pur non piacendogli, paradossalmente meccanicamente da anni era diventato il protagonista della loro vita, prendendogli e svuotandoli di qualcosa giorno dopo giorno.
In entrambi i casi non ho ravvisato il coraggio di raccontare la verità e provare a cambiare qualcosa o tutto nella propria vita.
Troppe volte infatti restiamo passivi ad aspettare o a cercare di evitare ciò che ci spaventa nel tentativo di aiutare quello che io considero spesso un veleno pericoloso “il quieto vivere”, che se da un lato dà momentaneamente ossigeno, dall’altro stringe un cappio, chiamato insoddisfazione, che lentamente ci ruba il respiro impedendoci di iniziare il cambiamento di ciò che non va.
In questa società si è soliti usare come sinonimi i termini “cambiamento” e “i nostri problemi”, così che la responsabilità del nostro stare male ricada su di essi, che sembreranno provenire da fuori e non dalle nostre scelte.
Ma avere paura di cambiare non è il vero problema, lo è invece il non cambiare per paura di farlo.
Come anche la misura delle soluzioni da trovare è proprio nelle nostre risposte, che vi assicuro sono sempre dentro di noi.
Se invece ci ostiniamo a rimandare il rimedio per ciò che ci fa stare male, prima o poi ci troveremo spersi e saremo così stanchi e confusi, da non saper più distinguere ciò che è positivo da ciò che non lo è, o sorprendendoci nel compiere l’assurdo perché ormai incapaci di riconoscerlo, magari provando a coltivare una bomba mettendogli dei fiori sopra, o a voler detonare un mazzo di fiori seminandoli con l’esplosivo.
Per poter cambiare qualcosa d’importante nella nostra vita, luogo, compagno, lavoro, dobbiamo raccontarci la verità e smetterla di chiamare la nostra paura “Non posso, i figli, lo stipendio, domani, e chissà cosa poi succederà!?”.
Ciò non vuol dire non avere dubbi, ma piuttosto prenderli con la nostra paura e portarli con sé.
Significa essere pronti anche a non esserlo e rischiare comunque, accendendo la miccia del cambiamento anche se preludio di un qualcosa che da qualche parte esploderà.
Pur con tutti gli errori e i dubbi, il provare a essere felici ha già degli effetti positivi sul nostro vivere.
Perché non reagire invece di continuare ad annaspare nel tentare di svuotare a due mani la paura che sta facendo affondare la barca della nostra vita, la nostra rotta.
Dobbiamo essere disposti a pagare il prezzo del biglietto che serve a tentare l’impresa, sì l’impresa per essere felici ha un prezzo.
Quando qualcosa ci impedisce di respirare e tornare liberi, seppur con rispetto verso noi stessi e chi ci circonda, non dobbiamo mai restare inermi e dobbiamo agire cambiando costi quel che costi, pur consci che per quello che ci aspetta probabilmente non potremo più chiedere né grazia né perdono, perché ormai avremo svoltato.
E vedrete, che pur capendo di non potere salvare tutti o avere raggiunto tutto ciò che desideriamo, comunque respireremo, consci che ciò che avremo fatto non sarà stato mai per disprezzo verso qualcuno inutile,
ma solo per il bene di qualcuno importante, noi stessi.
Foto in evidenza da me intitolata ” Non voglio Riconoscenza ma Riconoscimento” è opera di Tiziana Russo
4 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi, chi lavorando non ha tempo o chi preferisce ascoltare, e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti.
Buon ascolto o buona lettura come preferite.
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