Le cose semplici nel mondo di oggi sono diventate difficili, spesso complicate e indecifrabili.
L’osservazione come l’attenzione sono ormai arti quasi sconosciute, quando sono proprio queste che hanno permesso conoscenza e scoperta per tutti noi.
Il linguaggio del corpo è importante, ma è cosa ben diversa dalla comunicazione e dai gesti significativi che compiamo ogni giorno, che si sono perduti a vantaggio di immagini e sovraesposizione verbale, corporale ma non essenziale.
La natura ci mostra ogni giorno la verità, il fiume che scorre, il sole che brilla e il vulcano che esplode, comunicando senza bisogno di nomi, blasoni o il loro racconto.
Una riflessione nel mondo della Chiave Puentes vale insieme al silenzio che l’accompagna, milioni di parole e infinite capacità d’ascolto.
Dunque nel tentativo di comunicare, a volte dovremmo stare un passo indietro rispetto ai nostri propositi rinunciando a una parte di noi stessi, che molto spesso scambia il momentaneo luccichio della ribalta, con la luminosità della scoperta interiore.
Nelle nostre quotidiane interazioni con coloro che fanno il nostro mondo, troppo spesso invece di scegliere le parole con cura dosandole al fine di costruire un ponte comunicativo, le sprechiamo pensando: “Tanto ci capiranno lo stesso!” o ancor peggio “Tanto si capiva cosa volevamo dire”.
Tutto questo, soprattutto in una presunta tecnologica società, dove con un click siamo contemporaneamente dentro la tenda in un deserto, o in un ufficio di un grattacielo, crea distruzione e distorsione.
Le parole sono un rappresentante fenomenale dai super poteri, un nostro documento di identità, un traduttore di pensieri ed emozioni.
Dovremmo riflettere maggiormente sul fatto che ogni volta che incontriamo qualcuno, postino, cassiere, amico o figlio che sia, aprendo la bocca è come se mettessimo un ponte tra noi e lui, trasferendo emozioni, significati, impressioni che poi si trasformeranno e diverranno altre direzioni.
Una volta andati via infatti, ciò che avremo comunicato con le parole si appiccicherà addosso all’interlocutore, che se lo porterà dietro e in base a ciò che avremo toccato e risvegliato in lui, questi a sua volta creerà reazioni, nelle giornate, nelle risposte, nei mondi di altre vite, pur a nostra insaputa. Ecco un esempio di vibrazione, di onde che seppur non visibili si propagano impattando, deformando e distorcendo la realtà.
Attenzione dunque non solo a ciò che comunichiamo, ma a come lo facciamo, perché la forma di un significato ha spesso la forza e la capacità per cambiarne anche la sostanza.
E’ vero che le parole sono aria, ma molto di più sono ponti, echi e spesso rimbombi dentro, molto, ma molto più potenti di noi.
Dunque eccovi un estratto di un mio libro “Juan tra i suoi pensieri”, dove si parla proprio delle parole e della Logomachia, che oggigiorno ci veicola come pupazzi verso l’apparenza e l’occupazione di spazi senza freni, coscienza o semplice essenza.
E ancora ..
E così..
4 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi, chi lavorando non ha tempo o chi preferisce ascoltare, e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti. Buon ascolto o buona lettura come preferite.
Foto in evidenza da me intitolata ” la logomachia è un veicolo per pupazzi” è opera di Tiziana Russo
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