La riflessione di questa settimana si rifà agli ultimi fatti di cronaca concernenti Totò Riina, che potrebbe ottenere gli arresti domiciliari in ragione del fatto che ogni cittadino, indipendentemente da ciò che abbia fatto che sia assassino ladro o peggio carnefice, abbia il diritto di essere curato. Infatti sembra che Totò Riina sia affetto da gravissime patologie incompatibili con il regime carcerario a cui è sottoposto..
Non parlerò dell’aspetto tecnico non essendo un giurista, né di corte di Cassazione o Tribunali per la sorveglianza, ma comunque ritengo che sia giusto e saggio che qualunque organo preposto al controllo e a vigilare sulla salvaguardia del diritto e sulle sue possibili violazioni, vedendo possibili vizi o avendo dubbi in merito debba chiedere dei chiarimenti.
Ma non voglio parlare di Totò Riina come carcerato, assassino, preferisco tenerlo sullo sfondo, e spostare l’attenzione sul diritto stesso, sul concetto di pena e accanimento, che invece riguardano più intimamente la sfera del sentire umano.
Questa settimana in base alle diverse posizioni delle parti in causa: i parenti delle vittime, i parenti dei mafiosi, i giudici, partiti politici tutti hanno dato il loro giudizio, chi vuole che Totò Riina stia in carcere e venga curato lì come un qualsiasi detenuto, e chi vuole che torni a casa perché non vi deve essere accanimento per nessuno neanche per un grande assassino e il capo degli assassini.
Credo che indipendentemente dal torto o dalle ragioni di tutti, erroneamente si sia spostata l’attenzione sull’identità del soggetto più che sul suo diritto stesso, e occorra far chiarezza, anche perché è vizio dell’uomo ostinarsi a raggiungere le più alte vette del diritto, quasi scimmiottando le perfetti leggi del creato o peggio tentando di volersi sostituire a Dio, ottenendo invece il risultato contrario, ossia l’abuso del diritto, mistificazione o distorsione del medesimo.
Infatti si è parlato di accanimento da parte dello Stato nei confronti di un malato, ma non mi è chiaro dove sia l’accanimento. Perché accanimento? Lasciamo stare il nome del carcerato e ciò che ha fatto.
Nessuno ha impedito a un recluso in questo caso Totò Riina di curarsi, anzi già lo stanno curando in ospedale fuori dal carcere e così dovrebbe e deve essere per tutti i reclusi anche per quelli meno famosi, perché la pena consiste già nella reclusione. La premessa fondamentale è: il diritto di Totò Riina o qualunque carcerato di essere curato e rispettato non deve e può conoscere deroghe e come chiunque merita umanità, ma tutto questo non dimentichiamo è la conseguenza di ciò che un uomo ha seminato e le conseguenze e le restrizioni sono date dalla legge dell’uomo, che il condannato conosceva molto bene.
Lo Stato non arresta qualcuno per torturarlo, lo fa per “arrestare” appunto il suo operato. L’accanimento non vi è in questo caso perché esso nasce nelle intenzioni di voler far male, e le sequenze verrebbero a essere invertite, “ti voglio torturare dunque nel frattempo ti tengo recluso”. Non mi pare sia questo il caso.
E poi mi rifaccio ai puristi del diritto, se dovessimo parlare di accanimento allora anche la stessa reclusione in carcere e restrizione di qualunque libertà sarebbe accanimento, quindi già da subito molti dovrebbero protestare. E ancora se si parla di accanimento per la prigione ordinaria, figuriamoci per il 41 bis che è carcere ancora più duro, dunque un atto ancora più disumano e una misura di restrizione assurda che va contro i principi dell’uomo. Perché imprigionare qualcuno? Farlo stare lontano dall’affetto dei parenti, nipoti, chiuso in poco spazio, senza libertà di movimento, ma questo non è torturare, non è già accanimento? La verità è che questo non piace a nessuno, e perdiamo tutti nel farlo come società, ma non è che ci si svegli la mattina e si dia l’ergastolo a qualcuno, così per puro piacere, o per gioco, ci sono dei fatti, ci sono purtroppo delle conseguenze ci sono dei possibili pericoli quindi per questo vi è una pena con le sue restrizioni.
Molti ricercando la massima espressione del diritto hanno addirittura paragonato Totò Riina allo Stato stesso, che ha condannato e vuole mantenere in carcere un uomo in condizioni di malattia, rinvenendo somiglianza tra i due, come due facce di uno stesso aspetto ossia la malvagità, perché entrambi senza pietà.
Io invece ritengo che tutto ciò inteso così sia fuorviante.
Lo Stato nel tentativo che venga commisurata e rispettata una pena non si sta accanendo contro nessuno anzi, lo Stato si sta auto ponendo un ragionevole dubbio, proprio in ragione del fatto che tutti dinanzi alla legge devono essere uguali e dovrebbero avere gli stessi diritti. E questo a prescindere dal fatto che gli assassini invece non concedano nulla a chi sbaglia con loro. Quindi dove è la somiglianza?
Lo stato segue la legge dell’uomo, e sta solo applicando la legge.
Ma facciamo ancora un ultimo passo indietro e ripercorriamo il cammino. Perché viene data una pena?
Vi sono diversi motivi. Il primo motivo del cercare è di impedire la reiterazione del reato al condannato assassino o ladro che sia, salvaguardando tutti, dunque la società stessa dai crimini del medesimo.
Il secondo è la riabilitazione del condannato, questo è il principio originario almeno anche se le carceri italiane sono spesso in condizioni disumane. Ed è questo quello che io ritengo il punto fondamentale.
Capire le differenze tra l’intimo sentire, la pietà e il perdono privo di vendetta verso qualunque creatura è principio illuminato di progresso, mentre le necessità di sicurezza o il motivo delle carceri e restrizioni si muovono su un altro piano.
A mio avviso è la restrizione della libertà e il percorso di pentimento del condannato sono un aspetto fondamentale ancor più importante della pena stessa, perché può mostrare luce alla fine pur avendo “ormai” commesso crimini orrendi, un aspetto intimo, interiore, che molti in questi giorni pensando al nome o alla condanna non hanno mai considerato, ossia il percorso e il risultato, la riflessione volta al ravvedersi, al pentirsi da parte del carcerato e di tutti noi quindi.
Pretendendo che anche Totò Riina, Pablo Escobar o il peggior assassino veda sempre rispettato il proprio diritto aggiungo, che porgere l’altra guancia non significa come pensano molti, essere stupidi o inutili martiri nel lasciare la possibilità di essere colpiti ancora come molti ingenui pensano, bensì il contrario, è una lezione di tecnologia giuridica, significa avere pietà e comprensione per il prossimo che ha sbagliato perché si ravveda, concedendogli non di imperversare all’infinito ma di avere un’altra possibilità. E in più concludo, e non parlo solo da pensatore ma da comune peccatore, posso dire che anche ciò non è concesso in eterno anzi il contrario, altrimenti non sarebbe neanche previsto il più duro delle carceri il così detto “penare all’Inferno per coloro che hanno peccato”, ma vi sarebbe in eterno un’altra possibilità, un’altra guancia diciamo. Causa ed effetto?
Ecco la differenza tra il diritto e la legge dell’uomo e quella della coscienza o se credete di Dio, quest’ultimo infatti non giudica i peccati dell’uomo in base al numero delle vittime, la pena sta già nel sentire dolore e male per ciò che si è commesso, il peso dei propri peccati appunto, mentre la legge dell’uomo invece quantifica il male fatto e ne dispone proprio in base a ciò le pene.
Dunque a coloro che vedono accanimento nel carcere o nel cercare di vagliare la pena per Totò Riina da parte dello Stato, e a coloro che si rifanno a un diritto sommo, potremmo dire divino, dico che non vedo nessun piacere nello Stato che tutela la sua società, e non vedo alcuna gioia nel non far uscire dalla prigione Totò Riina, bensì preoccupazione.
E aggiungo che per ciò in cui credo, energia e altre dimensioni, visto che Totò Riina non si è mai riabilitato e non ha mostrato pentimento per ciò che ha fatto, a mio avviso forse il grande problema di questo vecchio uomo malato non saranno questi ultimi anni di carcere.
Io personalmente preferirei una prigione fatta di riflessione e pentimento dunque comunque una prigionìa che illuminando le barbarie commesse e ciò in cui ho sbagliato risulti comunque per me illuminante, dandomi una strada, un cammino per ravvedermi, piuttosto che avere invece una libertà oscura in malattia o no, o magari chiuso in un bunker isolato o nascosto in un cunicolo, senza reale miglioramento che io invece considero il vero accanimento.
E con questa riflessione vi saluto.
8 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi, chi lavorando non ha tempo o chi preferisce ascoltare, e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti.
Buon ascolto o buona lettura come preferite.
Foto in evidenza da me intitolata “Pena, Condanna, Accanimento, meglio una prigione illuminata o un’oscura libertà” è opera mia.
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