L’articolo di questa settimana nasce da un incontro avuto qualche giorno fa con un mio carissimo amico, che è un insegnante e si accinge a lasciare casa con i suoi tre bambini piccoli per andare a lavorare in un’altra regione.
Lungi da me il volermi schierare politicamente o entrare nel merito politico di questa riforma cosiddetta “della buona scuola”, invece mi interessa più entrare nel merito degli effetti sociali deleteri a cui essa porterà.. dunque parlerò del concetto di riforma e del concetto di scuola che mi preme di più proprio perché li ritengo la migliore forma di politica esistente.
Osservando questa riforma, mi vengono spesso in mente gli immigrati italiani dopo la guerra che lasciavano il paese per poter assicurare un futuro ai propri cari, o coloro che scappano dalle guerre e dall’Isis rischiando la vita affrontando il mare che fanno tutto ciò perché scappano da qualcosa di terribile e sono arrivati all’estremo, loro lasciano la loro casa e famiglia e il motivo si chiama “guerra”.
Invece il mio amico insegnante no! Non lo fa per questo. Lascia i tre figli ma non scappa dalla propria casa per qualcosa chiamato guerra, bensì per la “buona scuola” la ” Riforma”.
Ma fermiamoci un attimino su questo termine. Cosa vuol dire Riforma? Secondo il vocabolario Treccani è una : Modificazione sostanziale, ma attuata con metodo non violento, di uno stato di cose, un’istituzione, un ordinamento, ecc.
Ma il termine riforma, oltre a essere inteso come operare qualcosa di nuovo, ha per me un significato in più, soprattutto vuol dire formare qualcosa di nuovo, vuol dire dare una nuova forma, ricreare una nuova forma.
Ebbene ditemi cosa stiamo creando, cosa stiamo ricreando portando un padre o una madre lontano dalla propria casa, lontano dai propri figli, creando disagi e distruggendo famiglie! Non è violento questo?
E poi cosa si riforma? Niente! Non stiamo formando niente, anzi piuttosto stiamo distruggendo qualcosa, stiamo distruggendo nuclei familiari, stiamo distruggendo qualcosa di buono che è stato creato nel tempo, quello che c’era di buono, la famiglia.
Ora la differenza è proprio questa. Mentre coloro che scappano dalla morte dicono:” sono scappato dalla guerra”, quelli che invece in Italia scappano dalla propria casa e dalla loro famiglia, dicono: “sto andando a lavorare! sto scappando per la buona scuola”.
Questo non è altro che un ennesimo mezzo dei poteri oscuri o più o meno chiari, chiamiamoli i sistemi di potere, che non chiamano le cose per quello che sono, le piegano e le deformano per la loro gloria.
Mi chiedo infatti come vi possa essere una riforma della scuola e cultura se non si è allenati ad essa. Come si possa parlare di una buona scuola e cultura se questa è lontana dal popolo, come si possa chiedere a qualcuno di insegnare dei principi in un’altra regione a qualcun altro, quando lui per primo sta mancando in un principio essenziale, educare i propri figli, aiutare la propria moglie.
Assistere vuol dire condividere e non vuol dire solo portare lo stipendio a casa, perché i nostri figli hanno bisogno di noi, di una figura, un modello. Dunque secondo questa riforma andremo ad insegnare a qualcuno lontano la buona scuola e nel frattempo distruggeremo la nostra famiglia.
La cultura è vero che è un dono universale, ma ricordiamoci che vive e si nutre di vita reale se è vera cultura, altrimenti è vuota accademia, la cultura si insegna e si apprende nelle scuole, ma nasce, vive e si riproduce nella via, nelle strade, tra gli abitanti delle case e nei villaggi.
Questa riforma è un fenomeno di distorsione operato dai poteri forti che invertono le sequenze illuminate, mettendo l’apprendista o meglio il maestro al servizio di un titolo, la scuola al servizio di una vuota abitudine, o la vita di una persona al servizio di qualcosa chiamato lavoro.
Ma questa è una concezione fedele ad un’accademia che vede l’universo della cultura sì come mezzo di miglioramento, ma che realmente e concettualmente non ha niente a che vedere con esso. Perché senza partecipazione, non vi può essere comprensione e condivisione dunque scelta ed apprendimento.
Questa riforma o chi per loro, non fa altro che trattare i maestri e i professori come pupazzi chiamandoli insegnanti, ma questi invece sono missionari, i portatori di luce nell’oscurità.
Si spaccia la distruzione della cultura con dei progetti e algoritmi vuoti, lascivi, ma questi non sono mestieri comuni! I maestri non vanno solo a lavorare, e non vanno imbottiti di sedativi per la passione sapere a seicento km di distanza, per la passione educare, così facendo si crea alienazione, frustrazione e poi si distruggono alunni, maestri e famiglie.
Le famiglie non si toccano cari politici! Non si toccano per nessuna presunta riforma, convenienza o gloria politica nel dire di aver cambiato tutto, questo è pericoloso, perché la famiglia è un nucleo , un mini modello societario. Si sta creando divisione, separazione, i nuovi schiavi colti trattati come pedine nel gioco minestra o finestra. Ma si può fondare una riforma sul principio minestra finestra? E non sarebbe certo principio il termine da usare. Non si ricattano madri, padri e figli.
Questa è una pericolosa e tossica distorsione paradossalmente perfetta, che crea diffusione di confusione, perché chiamando le cose in maniera diversa da quello che sono, poi finiamo per crederci anche noi, crediamo in qualcosa che non esiste realmente, questa è la verità, non esiste niente in questa riforma, ed è palesemente sbagliata, iniqua, mortificante perché non esistono riforme che distruggono famiglie. Tutto questo non è buona scuola, non è buona per niente.
E in più questi signori furbescamente mascherano e chiamano il riscatto richiesto, o meglio il ricatto richiesto per poter sopravvivere, usando termini e frasi dal suono nobile ma strano, come “è lavoro” o ” bisogna lavorare”.
Loro sono legati avidamente alla gloria e stanno barattando delle anime con visibilità e consenso.
Loro non si vergognano più e usano termini come lavoro, mestiere, o lasciar casa, come vile contrappeso che hanno scelto per segnare il merito o la condanna di qualcuno o meglio della sua famiglia per essere felice.
E con questa riflessione vi saluto.
Foto in evidenza da me intitolata” I maestri non sono pupazzi” è opera di Stefania Boemi
6 MINUTI D’AUDIO Riproducono la riflessione dell’articolo a voce alta, perché abbiano accesso all’ascolto i ciechi, chi lavorando non ha tempo per leggere e quelli tra noi che pur avendo la vista sono diventati i veri Non Vedenti. Buon ascolto o buona lettura come preferite.
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